Onorevoli Colleghi! - Non si possono chiudere ulteriormente gli occhi sulle condizioni di vita all'interno delle carceri italiane. La situazione sta superando il livello di guardia.
      La lentezza dei procedimenti e il sovraffollamento stanno sempre più mortificando la dignità delle persone, aumentando il senso di risentimento dei detenuti verso lo Stato, percepito più come nemico che come strumento regolatore della vita civile. Si rafforza così l'appartenenza all'illegalità come scelta di campo e come rafforzamento della propria esclusione sociale. Inoltre, come sopra accennato, la presenza all'interno delle carceri italiane di un gran numero di persone malate, tossicodipendenti e in cattive condizioni psico-fisiche evidenzia la gravità di una situazione sulla quale è necessario intervenire attraverso provvedimenti strutturali, attenti alle esigenze di giustizia, alla dignità e ai diritti umani dei detenuti, ma anche alle possibilità concrete di una loro riabilitazione e di un loro reinserimento sociale, tutte valide.
      Dal sovraffollamento delle carceri derivano le terribili condizioni di vita dei detenuti, che finiscono con l'esasperare l'effetto punitivo della pena, in contrasto con il precetto costituzionale secondo cui «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»

 

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(articolo 27, terzo comma, della Costituzione).
      A queste considerazioni si aggiunge un discorso di fondo, relativo alla necessaria riforma del codice penale. Riservare la funzione di repressione solo al diritto penale, infatti, affidandosi alla carcerazione come unica soluzione, rappresenta un modo sbagliato di considerare il problema. Occorrerebbe piuttosto ridurre gli illeciti penali e privilegiare di più l'effetto dissuasivo rispetto a quello punitivo delle sanzioni.
      Gli atti di clemenza, pure urgenti, non possono essere risolutivi senza un serio progetto mirato al reinserimento nella società: un detenuto senza una famiglia o un ambiente che lo accolga, senza un lavoro o una casa, messo fuori dal carcere da un giorno all'altro, viene a trovarsi senza le risorse che consentono il suo reinserimento sociale. E spesso ritrova quindi la strada del crimine.
      La vera sfida è quindi quella del recupero e del reinserimento sociale del detenuto, per contrastare il circolo vizioso della recidiva; accompagnare la clemenza con la solidarietà, facendosi carico allo stesso tempo delle esigenze di sicurezza della collettività. La presente proposta di legge va in questa direzione.
      Due sono gli strumenti utilizzati. Il primo è quello del rafforzamento del personale addetto al servizio sociale per adulti e degli educatori del Ministero della giustizia. Questi operatori sono essenziali per il buon funzionamento e per l'esistenza stessa delle misure alternative alla detenzione, come l'affidamento in prova, che non riescono oggi ad essere applicate in tutte le loro potenzialità, proprio per la carenza degli organici degli uffici preposti al loro funzionamento.
      Accanto a questa misura di carattere strutturale si introduce un finanziamento triennale di carattere straordinario, per il sostegno a progetti finalizzati al reinserimento sociale e alla formazione dei detenuti scarcerati. In questo modo si chiamano a raccolta le esperienze e le capacità degli enti locali, del volontariato sociale e in generale della società civile per uno sforzo comune di accoglienza e di sostegno agli ex detenuti. Sostenere e accompagnare sul territorio i percorsi di reinserimento sociale e lavorativo di quanti escono di prigione è utile e necessario per dare uno sbocco positivo alla pena espiata; allo stesso tempo, è garanzia per tutti i cittadini, perché può concretamente determinare una reale prevenzione del crimine e interrompere la spirale della recidiva. Il modello utilizzato è quello del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, previsto dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. La cooperazione tra istituzioni pubbliche nazionali e locali e il volontariato sociale rappresenta la migliore garanzia di successo di questo sforzo.
      Uno sforzo dovuto da parte di una società che non vuole limitarsi a «nascondere» la devianza nelle carceri e che vuole dare pieno significato agli articoli 27 e 3, secondo comma, della Costituzione.
 

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